Holy Land
Holy Land - Il mio viaggio in Terrasanta
DISCLAIMER: Ho scritto questo articolo a caldo nel 2018, appena rientrato dal viaggio in Terra Santa, un viaggio che mi ha letteralmente cambiato la vita. Alla luce di quanto sta accadendo negli ultimi mesi in quei luoghi – le guerre, i tanti morti che stanno affliggendo migliaia di famiglie – non posso fare a meno di ripensare alle parole e ai pensieri che mi hanno pervaso conoscendo le storie delle persone che vivono lì. La cosa che più mi colpisce è che, nonostante siano passati sei anni da allora, sento ancora vibrare dentro di me quella tensione, quel misto di bellezza e sofferenza, che mi ha infuso visitare quel posto incredibile che è la Terra Santa. Il mio pensiero oggi va lì, ai nostri amici che ogni giorno cercano di aiutare le tante famiglie bisognose e alle tante vittime innocenti della guerra.
Descrivere la Terra Santa è come cercare di racchiudere l’immensità in poche parole. È un luogo dove la storia, la fede e le vite di milioni di persone si intrecciano e continuano a pulsare. Terra Santa non è solo un pezzo di terra tra il Giordano e il Mediterraneo: è un crocevia di profeti, di speranze, di sofferenza e di redenzione. Qui, i luoghi sacri delle tre grandi religioni monoteiste convivono in un equilibrio fragile e complesso. È impossibile non sentirsi sopraffatti di fronte al Monte del Tempio, alla Città Vecchia di Gerusalemme, o alla Moschea di Al-Aqsa.
Ma per me, Terra Santa è stata soprattutto un viaggio interiore. Un pellegrinaggio non solo tra le pietre e i monumenti, ma tra le domande che portavo dentro. Ho avuto la fortuna di affrontare questo viaggio con Don Carlo, Don Massimo e Nader, la nostra guida locale. Grazie a loro, quei luoghi non sono rimasti semplicemente scenari di eventi passati, ma si sono trasformati in esperienze vive, capaci di risuonare dentro di me.
"Ma per me, Terra Santa è stata soprattutto un viaggio interiore. Un pellegrinaggio non solo tra le pietre e i monumenti, ma tra le domande che portavo dentro."
Il Monte Tabor, Nazareth
Salire sul Monte Tabor è stato come entrare in un altro tempo. Sapevo cosa avrei trovato: il luogo della trasfigurazione di Gesù, un evento raccontato nel Vangelo, ma vederlo di persona è stato diverso. Il vento, il silenzio, il panorama che si estendeva all’infinito: tutto parlava di qualcosa di più grande. Sentivo la presenza del divino non solo nelle storie che conoscevo, ma in quel momento di calma assoluta, in quella luce che sembrava avvolgerci tutti.
Proprio lì, sul Monte Tabor, Don Carlo ha pronunciato una frase che mi è rimasta impressa: “Quando si parte, lo scopo è la prima cosa a cui si pensa e l’ultima che si realizza.” Quelle parole, ascoltate in quel luogo così significativo, hanno iniziato a prendere forma dentro di me. È stato come se tutto il senso del pellegrinaggio si stesse lentamente svelando, non in modo immediato, ma come una consapevolezza che cresceva passo dopo passo. A volte, ci vuole tempo per capire cosa stiamo davvero cercando, e il Monte Tabor è stato un momento chiave di questo viaggio interiore.
A Nazareth, nella Basilica dell’Annunciazione, mi sono fermato a pensare a Maria. Immaginare la giovane donna di fronte al mistero che le viene rivelato mi ha fatto riflettere sulle paure e sulle incertezze che ognuno di noi affronta. Tra i mosaici e i dipinti, ciò che mi colpiva era la sensazione di apertura: Maria che dice “sì”, senza sapere cosa l’avrebbe attesa.
Quando si parte, lo scopo è la prima cosa a cui si pensa e l'ultima che si realizza
Il lago di Tiberiade
Il nostro viaggio è proseguito verso il Lago di Tiberiade, un luogo che mi ha sorpreso per la sua bellezza serena. È uno specchio d’acqua che nasconde storie di miracoli, di fede e di vita. Guardando la superficie del lago, ho pensato a Gesù che cammina sulle acque, a Pietro che, per un momento, lo segue. Quello sguardo che si perde e quel dubbio che fa sprofondare: chi di noi non ha mai sperimentato qualcosa del genere? Questo lago mi ha parlato di speranza e di fragilità umana, del coraggio necessario per fare il primo passo, anche quando tutto sembra incerto.
Abbiamo visitato anche la casa di San Pietro, un luogo che solleticato la mia immaginazione, i miei pensieri. Immaginare la vita quotidiana di Pietro, il suo incontro con Gesù e la sua trasformazione, è stato un momento di riflessione personale sul cambiamento e sulla chiamata che ciascuno di noi può ricevere.
Ma uno dei momenti più belli è stato quando ci siamo imbarcati per attraversare il lago. Invece di pregare in silenzio, come spesso fanno i pellegrini, abbiamo cominciato a cantare. Canti di gioia che ci hanno travolti, un’onda di felicità che sembrava riflettere quella pace infinita che ci circondava. Nader, la nostra guida, è rimasto stupito da questa spontaneità: non si aspettava una simile esplosione di allegria. È stato un momento unico, come se fossimo stati colpiti da un’onda di gioia, un’energia che ci univa e che sembrava fondersi con le acque del lago.
L'uomo è felice quando ha chiaro lo scopo della sua vita
GERUSALEMME
Quando siamo spenti e aridi è perché ci fissiamo su ciò che finisce
Lungo la Via Dolorosa, il contrasto tra la preghiera e il caos del mercato arabo è stato evidente e potente. Mentre pregavamo le stazioni della Via Crucis, la vita pulsava intorno a noi, indifferente, con il suo ritmo rumoroso e frenetico. È stato proprio questo contrasto a colpirmi più di ogni altra cosa: il sacro e il quotidiano si sovrapponevano, come a ricordarmi che la fede non è mai distante dalla realtà, ma anzi, è profondamente immersa in essa, tra il rumore, i sorrisi, e le voci dei bambini.
Nel Santo Sepolcro, non ho trovato solo la storia di un evento passato, ma la promessa di qualcosa di più grande. Ripercorrendo la Via Crucis, mentre camminavamo tra le viuzze di Gerusalemme, ho visto come la sofferenza e la speranza possano intrecciarsi in una danza continua. In mezzo al chiasso dei mercati, tra il profumo delle spezie e il vociare dei venditori, il nostro piccolo gruppo camminava in silenzio, recitando le preghiere. La nostra devozione sembrava scontrarsi con la vita caotica intorno a noi, eppure proprio in quel contrasto ho trovato la bellezza della fede: non come rifugio dalla realtà, ma come parte viva di essa, che si nutre del mondo e lo trasforma.
Mentre percorrevamo la Via Dolorosa, ho sentito la stanchezza e il peso del cammino, ma anche una leggerezza crescente. Ogni passo sembrava liberarmi da qualcosa, quasi come se lasciassi cadere, un po’ alla volta, ogni mio fardello. Don Carlo diceva spesso: “Quando siamo spenti e aridi è perché ci fissiamo su ciò che finisce”. Lì, in quelle strade antiche, ho capito che spesso sono io stesso a limitarmi, aggrappandomi a ciò che è temporaneo, a ciò che inevitabilmente svanisce.
"È stato proprio questo contrasto a colpirmi più di ogni altra cosa: il sacro e il quotidiano si sovrapponevano, come a ricordarmi che la fede non è mai distante dalla realtà, ma anzi, è profondamente immersa in essa, tra il rumore, i sorrisi, e le voci dei bambini."
Palestina e West Bank
Durante il nostro viaggio in Terra Santa, una delle esperienze che più mi ha segnato è stato attraversare il muro che separa Gerusalemme dalla Palestina. Non è solo un muro di cemento, ma un simbolo tangibile delle divisioni che affliggono questa terra. I checkpoint, per noi turisti, sono stati una formalità di pochi minuti, ma per i palestinesi possono durare ore interminabili.
Era una realtà che non potevo ignorare, una barriera che non separa solo luoghi, ma anche speranze e vite.
Eppure, in mezzo a questo contesto difficile, abbiamo trovato Padre Justinos da Corfù.
Visitare Nablus è stato altrettanto sconvolgente. I cartelli rossi lungo la strada ci avvertivano del pericolo, indicavano che stavamo entrando in una zona non sicura. Entrando in città, la vista era desolante: bidoni della spazzatura e alberi caduti, segni evidenti di una situazione difficile e complessa. Era come entrare in un mondo parallelo rispetto alle altre città che avevamo visitato. Eppure, in mezzo a questo contesto difficile, abbiamo trovato Padre Justinos da Corfù. Nel convento che ancora oggi custodisce il pozzo di Giacobbe, abbiamo trovato accoglienza e una serenità inaspettata. Padre Justinos, con la sua presenza calma e forte, sembrava rappresentare una resistenza silenziosa, una testimonianza di fede che supera ogni divisione.
Quell’incontro mi ha fatto riflettere su come, anche in mezzo alle difficoltà più grandi, ci siano sempre persone che scelgono di rimanere e custodire ciò che è prezioso. È stato un altro esempio di come le “pietre vive” della Terra Santa non siano solo i luoghi fisici, ma le persone che ci abitano e che danno un significato più profondo a questi luoghi.
Il pellegrinaggio si è concluso a Betlemme, nella Grotta del Presepe. Seduto lì, in quel luogo così semplice eppure così ricco di significato, ho pensato al mistero dell’incarnazione: Dio che diventa carne, che nasce nel silenzio di una notte lontana. C’era qualcosa di ultimamente umano in quel luogo, qualcosa che mi ha fatto sentire connesso a tutte le persone che, come me, cercano un senso, uno scopo.
Arrivare a Betlemme è stato come concludere un cerchio. La Grotta del Presepe, con la sua essenzialità, è un luogo estremamente umile. Non c’era nulla di grandioso o spettacolare, ma proprio in questo risiedeva la sua intensità. Il mistero della Natività non si trova negli ornamenti o nelle decorazioni, ma nel miracolo stesso di una nascita, di una nuova vita che porta speranza.
Nella Basilica della Natività, tra i muri antichi e i pellegrini di ogni parte del mondo, mi sono sentito parte di qualcosa di più grande, di una storia che continua a ripetersi ogni giorno. Nonostante le difficoltà politiche e le divisioni che affliggono questa terra, la Basilica rimane un simbolo di pace e unità. In quel momento, ho sentito un desiderio fortissimo: non voglio che nulla finisca. Voglio tutto. Desidero tutto. Voglio che quella speranza continui a vivere in me, oltre il viaggio, oltre le parole, oltre le pietre.
“Al centro del mondo, fuori dal tempo”
Non pietre morte, ma Pietre Vive!
Decidere di concludere il 2017 e iniziare il 2018 con un pellegrinaggio in Terra Santa è stato per me un gesto simbolico, quasi una promessa. Avevo tante domande irrisolte, tanti dubbi da portare con me. Eppure, fin dall’inizio, una frase di Don Carlo ha iniziato a risuonare in me: “l’uomo è felice quando ha chiaro lo scopo della propria vita”. È una verità semplice, ma potente. E in quel viaggio, mi sono accorto di come spesso lo scopo si palesi solo alla fine del cammino, non all’inizio.
In Palestina, “al centro del mondo”, come la definiva Don Massimo, mi sono sentito davvero fuori dal tempo. Qui, dove tutto ha avuto inizio, ho trovato un’intensità che non mi aspettavo. Nel deserto, camminando tra le dune, ho percepito il silenzio del cuore. Era come se quelle distese vuote mi stessero dicendo di lasciare andare tutto ciò che mi appesantiva, tutto ciò che, nella vita di ogni giorno, sembrava importante, ma che in realtà non lo era.
La Terra Santa mi ha insegnato che non esistono “pietre morte”, ma solo Pietre Vive. Le storie, le persone, le esperienze che ho vissuto sono diventate pietre di un edificio più grande, un luogo interiore in cui rifugiarmi ogni volta che la vita diventa difficile. Quel viaggio non è stato solo un percorso geografico, ma un cammino interiore. Un cammino che mi ha portato a riscoprire ciò che è davvero essenziale: vivere intensamente, riconoscere che ogni difficoltà non è mai insormontabile, perché c’è sempre Qualcuno che mi accompagna, costantemente. Non importa quanto la strada sia tortuosa o quanto le sfide sembrino grandi, so che non sono mai solo. È questa certezza che mi permette di non avere paura e di affrontare la vita con tutto il coraggio e il desiderio che sento dentro.